Salvare il Patrimonio Culturale
domenica 30 ottobre 2011
ANNIVERSARI - 4 Novembre 1918 -La Vittoria-
UNA TESTIMONIANZA INEDITA SUL MODO IN CUI LA VITTORIA NELLA GRANDE GUERRA FU VISSUTA NELLA PROVINCIA MESSINESE - DUE LETTERE DI ELVIRA SANTANIELLO DA FRANCAVILLA DI SICILIA, INDIRIZZATE AL FIDANZATO MILAZZESE PEPPINO D'AMICO, AL FRONTE DI GUERRA.
FRANCAVILLA – 3 – XI – '18.
Peppino mio,
credi che abbia la forza di scriverti? No, non so che vorrei fare. Dio mio che vita! Anche oggi senza lettera tua… Che momenti che trascorriamo! Notizie di vittorie grandiose vengono da costassù e qui tutti sperano, mai fiduciosi come adesso, sperano in una gloriosa e definitiva fine. Arrivano i giornali la sera, i telegrammi al giorno, e tutti, anche le femminucce, le più ignoranti, vogliono sapere, chiedono e ascoltano con la meraviglia, con la gioia negli occhi. Da qui scorgo che il tricolore si muove al vento. E’ il municipio che così manifesta la gioia della Nazione tutta, con un simbolo solo, spiegato all’aria, al sole, allo sguardo di tutti. Io assisto silenziosa a tutto ciò, e anche in me sento agitare dei sentimenti che si ridestano ma che non nascono adesso: l’orgoglio vivo intenso d’esser dello stesso paese vostro, di tutti voi soldati, d’esser italiana come voi, cui in questi momenti il mondo segue meravigliato e fremente di ammirazione per le grandi gesta che state per compiere. Non lo nascondo, mi sento un tantino, per non dire molto umiliata di fronte a voi, che date tutto per l’Italia, per noi e per quelli che verranno dopo di noi. Come penso il mio Peppino in questi giorni! Sempre, sempre t’ho pensato, ma mai così affettuosamente, con tanta dolcezza, con tanto dolore. Sono sentimenti diversi, cozzanti fra loro, che giù nel mio animo si agitano. Sono indefiniti, inspiegabili. Mettendo tutta la mia buona volontà non riuscirei mai a esprimertene uno solo. Che confusione, e anche che vuoto che ho qui! …
Son uscita stamane, sai? Io e Maria soltanto, un’eccezione alla regola, non so come mamma l’abbia permesso. La mia passeggiata è stata più lunga del solito. Tenendoci per mano ci siamo allontanate per la solita via, e abbiamo parlato sempre di te. Maria mi ascoltava silenziosa e rideva di tanto in tanto, e mi interrompeva a intervalli per chiedermi qualche spiegazione. Montello, soldati, te, i tuoi amici, la tua vita di Milazzo, tutto ciò che era tuo e che io conoscevo. Ecco il soggetto della conversazione. Ma ora il Montello non si nominerà più; qual nome dunque dovrò imparare? Io vorrei nessuno più, basta adesso, che quella sia l’ultima sosta della tua vita di guerriero. La Sicilia ti attende, molte persone, molti cuori bramano avere il tuo abbraccio. Ti saluto Peppino mio, non continuo perché non saprei che dirti, pur sentendomi il cuore pieno di te. Arrivederci, auguri, un’infinità di cose affettuose. Elvira tua.
FRANCAVILLA – 4 – XI- '18
Peppino mio,
E’ dunque proprio vero? E’ vera la vittoria grandiosa? Oppure sogniamo? No, non è sogno meraviglioso che al risveglio ci lascia delusi, col vuoto, coll’angoscia del cuore, non è più una chimera la redenzione delle terre che sono state sempre italiane, sempre, dacchè Dio le ha create. E’ realtà vera, infallibile: nostra Trieste e Trento anche nostro. Non per niente si sono immolate tante vittime, il sangue di tanti caduti lo avete rivendicato voi oggi, soldati. Oh! Come vi si ammira e vi si ama! Io ancora non credo, pur scorgendo tante cose, tanti indizii! Qui non si regge, è troppo grande e inaspettata la gioia. Senti, Peppino mio, senti come anche in Francavilla, paesetto sperduto fra i monti e quasi dimenticato, senti come vibrano i cuori d’entusiasmo e di gioia? Sono stata affacciata. Ogni casa è imbandierata, anche dall’alto del campanile sventolano due bandiere e par dominino il paese tutto, in ogni volto è gioia, letizia dappertutto. A me pare di trovarla anche nel gorgoglio dell’acqua del vicino canale, mi pare che non sia un mormorìo uguale e lento come tutti gli altri giorni. Mi sembra udire una canzone lieta, festante, invece nel suo chiacchierìo monotono. La notizia arrivò per telegramma ieri sera, sul tardi. Noi eravamo a tavola, cenavamo. Delle grida inusuali ci fanno alzare – Che succede? Perché tutta quella gente riunita? – domandiamo: -Il tricolore sventola su San Giusto e su Trento – Ecco la risposta di molti, a coro. – Possibile? Sì, notizia ufficiale. E’ indubitabile - .Sono aperte le chiese e le campane suonano a lungo e a festa. Una gioia senza limiti mi fa nodo alla gola e con la gioia un dolore forse non meno grande. Il non aver tue nuove m’aveva fatto star male tutta la sera e in quel momento non seppi far altro che nascondere il volto fra le mani e singhiozzare a scatti, con amarezza indicibile, mentre fuori la gente ebbra di gioia gridava e tempestosamente dei tamburi e una musica improvvisata lì per lì rompeva i timpani cercando di suonare inni patriottici. Gridavano, cantavano, attraversarono tutto il paese e si condussero fino al gruppo di case che giacciono ai piedi del poggio, su cui s’eleva il castello. Anche in quel quartiere, che quasi sen vive separato dal resto dell’abitato, anche lì sempre silenzioso, vollero portarvi la gaia nota. Salirono ancora in alto, fino alla chiesa, le cui porte spalancate accolsero tutti in una unità di affetti, di sentimenti e di preghiera di ringraziamento. Qualcuno parlò e venne acclamato dalla folla giubilante. In alcune case dormivano già, si svegliarono e donne tutte, vecchie (povere vecchie!) anche uscirono per unirsi agli altri. Vi fu una festa come mai v’era stata, che si prolungò a lungo. Stamane, prestissimo, incominciava ad albeggiare appena e le campane suonavano, mi sveglio non ricordando niente, ma le risate gioconde d’un gruppo di ragazze, sotto la mia finestra, tutte mie conoscenti e vicine, mi chiamano alla realtà. Sorrido anch’io e dimentico anche il sogno cattivo che durante la notte m’aveva agitato. Che so: soldati, carabinieri, confusione, acqua, un mare vasto e furibondo le cui onde mi trascinavano a piacer loro, lettere tue perdute, bagnate, annegate. Dimentico questo sogno confuso e coricata seguo col pensiero tutto ciò che avveniva fuori e lontano lontano da me, vengo da voi. Peppino mio, che avete fatto voi soldati? Qui pareva in certi momenti che la gioia trascendesse in pazzia, addirittura. Non riesco ad immaginarmi mai le vostre feste, il giusto vostro orgoglio, fierezza, che avvenne da voi? Descrivimi minutamente tutto, ho curiosità di sapere, di vivere in mezzo a voi io che sono stata lontana, io che non ho avuto mai quasi l’idea d’una festa grande svolta fra soldati, è giusto che voglia conoscere. Ho dispiacere che non vi sia sole per baciare questa festa di bandiere, per avvolgerle nella sua luce smagliante e unire sole a sole. Niente invece, è grigio grigio il cielo…
Arrivederci, Maria ricambia i tuoi saluti, io il tuo bacio. Tua Elvira.
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